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Sono temi ben noti alla politica da tempo e ai diversi governi che, con colori diversi, hanno approcciato il tema. È evidente – come dice anche il Quirinale – che per consentire al made in Italy di dispiegare tutto il suo potenziale servono ora le riforme di struttura. Lo diciamo su queste colonne da tempo; lo ha scritto anche giovedì lo stesso Marco Fortis («è essenziale che l'Italia avvii un importante programma di riforme che permetta di stabilizzare i suoi conti pubblici, migliorando al contempo le infrastrutture e i servizi che lo stato offre a cittadini e imprese»).
Alleggerimento fiscale su lavoro e imprese; massiccio programma di investimenti in infrastrutture grandi e piccole; completamento della riforma del welfare; revisione dei meccanismi della giustizia affinché, soprattutto nel settore del civile, la certezza del diritto non sia una beffa o un investimento a lunghissima gittata; ammodernamento della burocrazia pubblica perché non venga percepita (e non si comporti) come un tragico freno a mano del progresso. Il tutto abbinato a una revisione (peraltro in corso) del sistema formativo e d'istruzione, palla al piede della competitività del paese.
Sono queste le sfide che attendono l'azione del governo nel resto della legislatura. Guardare oltre il Pil va bene ma, come ha detto il presidente Gianfranco Fini presentando il rapporto Stiglitz all'Istat, senza che questo diventi un alibi per l'inerzia. Ottimisti e pessimisti saranno i benvenuti alla discussione sulle riforme. Noi, per quel che ci compete, vi parteciperemo, come sempre, da realisti.